Matteo Fonti Consulente Finanziario – Personal Financial Advisor Certificato EFPA livello EFA e livello ESG Iscritto albo Consob/OCF Iscritto registro RUI
Le recenti vicende di SVB, Silvergate e le debolezze delle banche regionali USA hanno recentemente riaperto il tema della stagflazione, cioè quella particolare condizione economica dove in un periodo di recessione, con conseguente calo degli utili aziendali ed aumento della disoccupazione, l’inflazione continua a perdurare nel tempo a livelli elevati.
Sappiamo bene che la stagflazione è il peggior scenario possibile in un’economia, ma quanto essa oggi è davvero possibile?
Andiamo con ordine:
la settimana scorsa per la prima volta da mesi, il bilancio della FED è tornato a crescere dopo una riduzione costante iniziata agli inizi del 2022 proprio per combattere l’inflazione crescente.
Tale evento è stato generato proprio dalla necessità del sistema bancario americano, nello specifico delle piccole banche regionali, di liquidità per far fronte alla crisi di fiducia venutasi a creare dopo il fallimento di SVB.
Anche l’ultima decisione della BCE sui tassi di interesse dovrebbe far riflettere: la banca centrale infatti ha preferito mantenere la parola e alzare i tassi dello 0,50% previsto, ma precisando che la situazione è sotto il monitoraggio costante del board e che se necessario la politica monetaria interverrà.
E’ ormai chiaro che qualcosa nelle economie occidentali si è rotto, gli eccessi del 2021 sono ormai rientrati e ora il ciclo economico sembra più equilibrato e giunto finalmente in linea con quanto necessario alle banche centrali per ridurre effettivamente l’inflazione che aggrava i bilanci di famiglie e consumatori.
Perché allora la stagflazione?
Perché la domanda che ora riecheggia tra gli addetti ai lavori è:”L’inflazione effettivamente scenderà grazie ad un rallentamento economico? oppure resterà alta grazie all’ammorbidimento delle banche centrali?”
la risposta a questa domanda secondo me si può trovare nella struttura stessa dell’attuale inflazione e nella composizione delle due economie di Europa e Stati Uniti.
Il mondo occidentale ha vissuto oltre un decennio di inflazione minima grazie alla riduzione costante del costo del lavoro, merito della delocalizzazione in paesi emergenti delle produzioni industriali.
Gli eventi geopolitici degli ultimi anni hanno portato, partendo dalla pandemia da covid-19, ad un ritorno delle industrie essenziali nei paesi sviluppati, questo, combinato ad un aumento del costo delle materie prime nel 2022 e agli ingenti aiuti pandemici, ha generato l’inflazione che abbiamo visto nell’ultimo anno.
Ora gran parte di quell’inflazione però è dovuta al segmento dei servizi, le materie prime industriali infatti sono rientrate nei prezzi medi, i forti licenziamenti (soprattutto negli Stati Uniti) hanno generato deflazione in molti settori economici, ma l’inflazione sembra perdurare. Questo perché come detto, essa dipende prettamente dal settore servizi, un settore dove il price power delle aziende è molto forte e poco dipendente dalla catena degli approvvigionamenti.
In una situazione del genere, difficilmente avremo nel medio periodo inflazione alta se la crescita economica entri effettivamente in contrazione; infatti l’inflazione da servizi deriva quasi totalmente dalla domanda e non dall’offerta (come detto le aziende di servizi hanno catene di approvvigionamento molto brevi) e non esiste migliore antidoto ad un’inflazione da domanda che un rallentamento della domanda stessa, ovvero un rallentamento economico.
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✔️ Matteo Fonti Consulente Finanziario – Personal Financial Advisor Certificato EFPA livello EFA e livello ESG Iscritto albo Consob/OCF Iscritto registro RUI